Buonumore: la ricetta per diventare ciò che sei

Due indispensabili risorse sul buonumore.


Un monito da considerare e una soluzione da integrare per diventare chi desideri


Quando problemi e stati d’animo negativi si ripetono perdiamo di vista il senso delle cose. Quando la condizione rischia di affliggerci spesso in uno stato di infelicità dovremmo ritornare con la mente alla realtà oggettiva e costante. La realtà è diversa da ciò che ti consiglia la mente per protezione.


Ciao, sono Marco Venturi e aiuto le persone nello sviluppo personale in tempi brevi con articoli, podcast, ebook e audio. Evitando quindi anni di tentativi fallimentari e rinunce nell’essere più sani, efficaci e liberi (sopratutto da se stessi) con il metodo delle mappe mentali.

Due concetti da ricordare:


Diventi ciò che pensi, consapevole o no che tu lo sia.. Succederà!

Desidera ciò che vuoi tu e non ciò che vogliono gli altri..

Monito al buonumore

Dal Libro di Wayne W. Dyer Le vostre zone Erronee


“Diventi quello che pensi, che tu lo voglia o no."


Sono cresciuto in orfanotrofio ma ho sempre avuto la capacità di avere un punto di vista positivo verso quello che mi accadeva.
Ero il bambino più ricco dell’orfanotrofio… Io cercavo le opportunità, quelle ci sono sempre, basta saperle riconoscere…


Ho 67 anni e non sono mai stato disoccupato e non certo perché la mia situazione economica era buona, ma perché ho sempre pensato in questa maniera:


Se cambi modo di pensare puoi ottenere quello che vuoi dalla vita, è un concetto semplice e il fatto è, che ho sempre messo in pratica quello che dico…
Nella contemplazione di ciò che desideri crei ciò che vuoi…

I fratelli Writh quando sono riusciti a volare non pensavano a quello che rimaneva sul suolo e della loro capacità di rimanere a terra.
Era necessario che contemplassero la possibilità di alzarsi da terra…la possibilità c’è sempre stata ma nessuno fino ad allora l’aveva contemplata.


Bisogna contemplare la possibilità di fare le cose…
La mia missione è insegnare agli altri come avere fiducia in se stessi e sono convinto che sia per questo che sono nato in un orfanotrofio.
Wayne W. Dyer da Le vostre zone Erronee

La risposta al buonumore


Gli ultimi studi mostrano che i geni c’entrano poco
Lo “star bene” si apprende: dipende dall’accettazione di sé


La ricetta del buonumore
“Diventa ciò che sei”
di UMBERTO GALIMBERTI


IL BUONUMORE è una condizione esistenziale a cui tutti ambiscono e, incapaci di raggiungerla, attribuiscono il fallimento agli altri o alle circostanze del mondo esterno, quali l’amore, la salute, il denaro, l’aspetto fisico, le condizioni di lavoro, l’età, cioè una serie di fattori su cui non esercitiamo praticamente alcun potere di controllo.


Ciò consente a ciascuno di noi di esonerarci dal compito di essere non dico felici, ma almeno di buonumore, perché nulla possiamo fare sulle circostanze che non dipendono da noi.


Eppure questa condizione dell’animo è accessibile a qualsiasi essere umano a prescindere dalla sua ricchezza, dalla sua condizione sociale, dalle sue capacità intellettuali, dalle sue condizioni di salute. Non dipende dal piacere, dalla sofferenza fisica, dall’amore, dalla considerazione o dall’ammirazione altrui, ma esclusivamente dalla piena accettazione di sé, che Nietzsche ha sintetizzato nell’aforisma:

“Diventa ciò che sei”.

Sembra quasi un’ovvietà, ma non capita quasi mai, perché noi misuriamo la felicità, da cui scende il nostro buon o cattivo umore, non sulla realizzazione di noi stessi, che è fonte di energia positiva per quanti ci vivono intorno, siano essi familiari, colleghi, conoscenti, ma sulla realizzazione dei nostri desideri che formuliamo senza la minima attenzione alle nostre capacità e possibilità di realizzazione.


Non accettiamo il nostro corpo, il nostro stato di salute, la nostra età, la nostra occupazione, la qualità dei nostri amori, perché ci regoliamo sugli altri, quando non sugli stereotipi che la pubblicità ci offre ogni giorno.


Distratti da noi, fino a diventare perfetti sconosciuti a noi stessi, ci arrampichiamo ogni giorno su pareti lisce per raggiungere modelli di felicità che abbiamo assunto dall’esterno e, naufragando ogni giorno, perché quei modelli probabilmente sono quanto di più incompatibile possa esserci con la nostra personalità.


Ci facciamo “cattivo sangue” e distribuiamo malumore, che è una forza negativa che disgrega famiglia, associazione, impresa, in cui ciascuno di noi è inserito, perché spezza la coesione e l’armonia, e costringe gli altri a spendere parole di comprensione e compassione per una sorte che noi e non altri hanno reso infelice.


Se il cattivo umore è il risultato di un desiderio lanciato al di là delle nostre possibilità, non ho alcuna difficoltà a dire che chi è di cattivo umore è colpevole, perché è lui stesso causa della sua infelicità, per aver improvvidamente coltivato un desiderio infinito e incompatibile con i tratti della sua personalità, che non si è mai dato la briga di conoscere.


A questo punto il buonumore non è più una faccenda di “umori”, ma oserei dire un vero e proprio “dovere etico”, non solo perché nutre il gruppo che ci circonda di positività, ma perché presuppone una buona conoscenza di sé che automaticamente limita l’ampiezza smodata dei nostri desideri, accogliendo solo quelli compatibili con le proprie possibilità.


Infatti, nello scarto tra il desiderio che abbiamo concepito e le possibilità che abbiamo di realizzarlo c’è lo spazio aperto, e talvolta incolmabile, della nostra infelicità, che ci rode l’anima e mal ci dispone di fronte a noi e agli altri.


Le conseguenze sono note: ansia e depressione che, opportunamente coltivate dal rilancio del desiderio, quasi una reiterazione della nostra prevedibile sconfitta, diventano condizioni permanenti della nostra personalità, che abbassano il tono vitale della nostra esistenza, quando non addirittura, a sentire i medici, il nostro sistema immunitario, disponendoci alla malattia, che non è mai solo un’insorgenza fisica, ma anche spesso, e forse soprattutto, una disposizione dell’anima che ha rinunciato a quel dovere etico che Aristotele segnala come scopo della vita umana: la felicità.


Naturalmente Aristotele, da greco, non si lascia ingannare da cieche speranze o da promesse ultraterrene, e perciò pone, tra le condizioni della felicità, la conoscenza di sé, da cui discende, nel nostro spasmodico desiderare, la “giusta misura”.


Il buonumore lo si guadagna attenendosi alla giusta misura, che i Greci conoscevano perché si sapevano mortali e i cristiani conoscono meno perché ospitati da una cultura che non si accontenta della felicità, perché vuole la felicità eterna, che è una condizione che non si addice a chi ha avuto in dote una sorte mortale.


L’accettazione di questa sorte sdrammatizza il dolore e fa accettare quella “giusta misura” dove solamente può nascere buonumore e serena convivenza. di UMBERTO GALIMBERTI (9 marzo 2004)

Articolo di Repubblica.it


La mia proposta finale è:

Se diventiamo ciò che pensiamo abbiamo necessità di pensieri positivi che spesso neghiamo dal bisogno di essere apprezzati ed essere conformi agli altri.


Diventiamo così nel tempo, ciò che vogliono loro e ci allontaniamo sempre più dalla felicità, smettiamo di ascoltare il nostro interno per accontentare la società…minando così la nostra autostima e anche la salute.

Avere desideri porta a pensieri migliori, da speranza e accresce le nostre capacità, da buonumore e la motivazione per fare i passi necessari. Con pensieri migliori viviamo bene.


Un’unica domanda ha la risposta esatta: Sono disposto a farlo?…

Stammi al Meglio Ciao Marco

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Chi Sono

Sono Marco Venturi. Docente, ricercatore e imprenditore online.


Su www.latuamappa.com condivido idee e mappe mentali per imparare e ricordare, essere più efficaci, sereni e liberi (sopratutto da se stessi :)