In ogni cosa c’è una crepa, ma è da li che passa la luce. Leonard Cohen
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Leonard Cohen è stato il poeta della distruzione. Lo è stato fin dalla prima canzone che ha attirato l’attenzione su di lui, Suzanne: “E Gesù era un marinaio quando camminò sull’acqua / e restò per molto tempo a guardare giù dalla sua torre solitaria… /
E ancor prima che il cielo si aprisse, lui era distrutto / abbandonato, quasi umano, sprofondò come una pietra in fondo al vostro giudizio”.
La distruzione è sempre stata lì. Si è dimostrata fondamentale per lui, in musica, poesia e letteratura (nessun altro ha saputo maneggiare le tre discipline insieme, come lui), e ha segnato Hallelujah, la sua più famosa visione della trascendenza: “Non è un pianto che ascolti di notte / non è qualcuno che ha visto la luce / è un Alleluia freddo e distrutto”.
Ha seguito Cohen fino in un monastero Zen, dove anni di contemplazione e preghiera hanno saputo essere strazianti quanto l’orrore che lo spinse a rifugiarsi lassù.
È apparsa persino nelle ultime strofe dell’ultima canzone del suo ultimo disco, uscito alcune settimane prima della sua morte. “È finita, l’acqua e il vino / allora eravamo distrutti, ma adesso siamo al limite”.
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Stammi la Meglio Ciao Marco